La crisi, che pare finalmente allentare la presa sul Paese, ci lascia un’eredità fatta non solo di sofferenze ma anche di consapevolezza: ci ha insegnato che nel mondo globale del XXI secolo bisogna essere capaci di affrontare il cambiamento, che si tratti di shock economici o di rivoluzioni come quella del digitale o della green economy. In questo mondo nuovo, una cosa più di ogni altra può aiutare la navigazione: è un’idea di futuro, una missione che guidi il Paese unito e solidale nelle acque incerte di questo nuovo secolo.

Un’Italia che fa l’Italia può trovare un aggregatore dei talenti migliori, un catalizzatore di energie che unisca il Paese, i sui territori, le sue imprese e le sue comunità nella missione della qualità, della bellezza, della cultura che si incrocia con l’innovazione tecnologica e la green economy. Facce della stessa medaglia che prendono corpo nel nostro ineguagliabile patrimonio storico artistico, nei territori, straordinario mix di bellezze naturali e sapienza dell’uomo. Ma che si realizzano anche nei nostri prodotti, in cui artigiani e industriali illuminati hanno portato la bellezza e la cultura che si respira nel Paese, persino la qualità della vita: grazie anche all’incontro con la creatività e il design, che ci dice quanto sia importante l’osmosi tra cultura e mondo produttivo, e quanto sia urgente un ripensamento in questo senso del sistema educativo e formativo.

La missione che indichiamo, se non cancella i problemi dell’Italia – non solo il debito pubblico, ma le diseguaglianze sociali, l’economia in nero, quella criminale, il ritardo del Sud, una burocrazia inefficace e spesso soffocante – offre però forze alle quali attingere per affrontarli.

Io sono cultura – con i sui numeri e le sue storie, realizzato anche grazie al contributo prezioso di circa 40 personalità di punta nei diversi settori analizzati – scandaglia e racconta queste energie. Attraversoun’idea di cultura fatta naturalmente di musei, gallerie, festival, beni culturali, letteratura, cinema, performing arts, ma anche di industrie creative e made in Italy: cioè tutte quelle attività produttive che non rappresentano in sé un bene culturale, ma che dalla cultura traggono linfa creativa e competitività. Quindi il design, l’architettura e la comunicazione: industrie creative che sviluppano servizi per altre filiere e veicolano contenuti e innovazione nel resto dell’economia – dal turismo all’enogastronomia alla manifattura – dando vita ad una cerniera, una “zona ibrida” in cui si situa la produzione creative-driven, che va dalla manifattura evoluta, appunto, all’artigianato artistico.

I dati raccolti in questo studio, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere in collaborazione con la regione Marche, dimostrano che la cultura è uno dei motori primari della nostra economia. AlSistema Produttivo Culturale e Creativo (industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico artistico, performing arts e arti visive, produzioni creative-driven) si deve il 6,1% della ricchezza prodotta in Italia: 89,7 miliardi di euro. Ma non finisce qui: perché la cultura ha sul resto dell’economia un effetto moltiplicatore pari a 1,8: in altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,8 in altri settori. Gli 89,7 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 160,1, per arrivare a quei249,8 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 17% del valore aggiunto nazionale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano.

Il Sistema Produttivo Culturale (da solo, senza considerare i posti di lavoro attivati negli altri segmenti della nostra economia) dà lavoro a 1,5 milioni di persone, il 6,1% del totale degli occupati in Italia.

Confrontando i dati con quelli dell’ultimo quinquennio, i valori complessivi della filiera sono in crescita, pur di poco o pochissimo: +0,6% il valore aggiunto prodotto, +0,2% il numero degli occupati. Valori il cui peso si comprende a pieno solo confrontandolo con quelli, di segno opposto, del complesso dell’economia: -0,1% il valore aggiunto, -1,5% l’occupazione. Guardando alla dinamica dei settori, pur nel chiaroscuro di questa coda della crisi, le performance più rilevanti sono quelle connesse al design (+10,8% per valore aggiunto e +13,8% per occupazione), alle produzioni creative-driven (+5,4% per valore aggiunto e +1,4% per occupazione), al videogame (+3,7% per il valore aggiunto e +1% per occupazione), alla musica (+3,0% per valore aggiunto).

Se poi guardiamo oltre il perimetro delle imprese culturali e creative, a beneficiare in modo rilevante della spinta della cultura è in particolar modo, come c’è da attendersi, il turismo: più di un terzo (il 37,5%) della spesa turistica nazionale è infatti attivato proprio dalla cultura.

Oltre al turismo c’è anche il mondo dell’agroalimentare. Tra le alleanze più promettenti strette negli ultimi anni c’è sicuramente, infatti, quella tra cultura e mondo del cibo, con i cuochi stellati che si rifanno alle culture locali e al design e all’arte, e la cucina che si trasforma da oggetto a soggetto di comunicazione, e dunque di produzione culturale.

Da questi numeri si colgono i segnali di un fermento culturale ampio, che investe tutta la società e, per osmosi, l’economia. Si conferma la crescita in segmenti tradizionali che incrociano cultura e produzione, quelli che, per dirla con Carlo M. Cipolla, ci permettono di produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo: come il design, quest’anno protagonista di un record di visitatori alla design week del Salone del Mobile. Ma l’Italia è cresciuta anche in segmenti in cui aveva accumulato ritardi in passato, recuperando terreno nel contesto internazionale: è il caso ad esempio del videogame, in cui si moltiplicano i soggetti indipendenti; o quello discografico, grazie all’apporto delle nuove tecnologie.

Entrano in gioco appunto le tecnologie digitali. Che, anche grazie ad una formazione taylor made per il mondo produttivo (vedi Eccellenze in digitale di Unioncamere e Google), si confermano anche come fattore abilitante di una parte rilevante della manifattura: dalla comunicazione all’artigianato 4.0 al coinvolgimento del pubblico nell’ideazione e sviluppo di prodotti.

Numerose, naturalmente, le esperienze innovative messe in campo per la tutela e valorizzazione del patrimonio: di particolare interesse quelle che chiamano in causa il coinvolgimento delle energie della società. Emergono sempre più fenomeni spontanei e legati al ruolo di abitanti e fruitori: episodi diriscoperta del ruolo collettivo e comunitario del patrimonio culturale si riscontrano ad esempio nel lavoro delle associazioni, del mecenatismo partecipato, dei centri di produzione culturale indipendenti, dell’azionariato popolare. Tutti fenomeni che danno la cifra di una relazione pubblico-privato possibile nei confronti della cultura che va ben oltre il tema delle sponsorizzazioni. Esemplare quanto avvenuto a Mantova, Capitale della cultura d’Italia 2016. E ancor più a Matera che, ad un anno dalla nomina di Capitale Europea della Cultura per il 2019, vive una crescita costante del turismo (più 140% di presenze) e della comunicazione della città
Tutti questi segnali di fermento possono essere aiutati da riforme come quella dell’Art Bonus, il credito d’imposta introdotto nel 2014 a favore degli investimenti in cultura. Il cui più decisivo risultato sta non tanto e non solo nei 2.728 mecenati con i loro 62 milioni di erogazioni liberali, per buona parte provenienti da interventi di micro-mecenatismo, ma dall’avvicinamento potenzialmente dirompente tra patrimonio storico artistico e forze della società. Che siano le imprese che fanno donazioni, o le aggregazioni sociali che donano tempo, energie e fantasia, questo avvicinamento ha in sé i germi di una maggiore responsabilizzazione delle comunità verso il patrimonio, quelli dello sviluppo di future collaborazioni creative e produttive che possono solo giovare al patrimonio stesso e all’economia.

I fermenti citati possono essere aiutati anche dalla riforma museale, basata sulla necessaria integrazione tra conoscenza storico scientifica, rigore della conservazione e capacità gestionale e imprenditoriale. Che, anche in questo caso, apre le porte ad una potenziale maggior compenetrazione tra mondo della tutela e corpo sociale e produttivo.

E se la cultura si conferma un importante motore di sviluppo a livello mondiale (come dimostrano ad esempio il programma inglese per individuare forme innovative di finanziamento e gestione delle attività culturali, o la scelta canadese di potenziare in modo considerevole l’investimento in cultura e creatività) in quest’ottica va letto l’impegno del Parlamento Europeo per il suo inserimento come undicesima priorità del piano Juncker, volto a rilanciare l’economia del continente grazie ad un investimento di 315 miliardi di euro a favore degli Stati membri.

Quella che leggerete nelle pagine seguenti, dunque, è un’Italia vivace e attiva, un’Italia presente che già semina il futuro, che guarda avanti con coraggio senza dimenticare la sua storia, che coglie le opportunità della green economy e della digitalizzazione ma non dimentica di essere un Paese artigiano fatto di piccole e medie imprese che traggono la loro forza dalla sapienza dei territori, dalle comunità, dai loro saperi e dalla loro coesione. Un Paese consapevole che la sua cultura dalle radici antiche è oggi il miglior biglietto per entrare da protagonisti in un futuro migliore. Se l’Italia fa l’Italia, quel futuro non è nostro nemico. Anzi.